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martedì 17 aprile 2018

Il pugno del bandito Vargas

Da ragazzo pensavo, davvero, che tutto fosse "politica". 

Deve aver pensato la stessa cosa il pugile americano Rod Salka, nato 35 anni fa a Bunola, Pensylvania.
Alto 1,70, da quando è professionista ha gareggiato nelle divisioni "Pesi leggeri", "Superpiuma", "Superleggeri".

Uno scricciolo, insomma, ma in grado di mollare pugni micidiali. Prova ne sia il suo "palmarès": su 29 incontri effettuati, finora ne aveva vinti 24, con sole cinque sconfitte, quattro per ko e una "ai punti". 

Nell'ultimo, svoltosi tre giorni fa, il suo avversario era il pugile messicano Francisco Vargas (anzi, Francisco Javer Vargas Pelaez), 34 anni, nato a Mexico City, nome di battaglia "El Bandido"

Quasi un simbolo, per il Messico, visto che Vargas ha rappresentato il Paese americano alle Olimpiadi del 2008 nella categoria "superleggeri" ed è stato campione mondiale dei pesi "superpiuma" tra il 2015 e il 2017.







"El bandito  è conosciuto dagli appassionati della boxe del Continente americano per essere talvolta spietato, grazie ai suoi pugni: come accadde lo scorso dicembre quando, a Las Vegas, il suo destro quasi staccò un orecchio all'avversario inglese Stephen Smith.

L'incontro con Rod Salka questa volta è stato organizzato al "Fantasy Springs Resort Casino" di Indio, California. 




Ora, dovete sapere che Indio è una cittadina americana di nemmeno 90mila abitanti della contea di Riverside, distante 86 miglia, 138 chilometri, da MexicaliMessico

Tra l'altro dei suoi 90 mila abitanti, più di 51 mila (dunque il 68%) sono "latini", di origine ispanica. 

Che questo incontro di boxe, dunque, potesse assumere altri significati e richiamare temi più "caldi" - più d'attualità, più "politici", diciamo - era facile da intuire.

La tensione (per fortuna tutta sportiva) era altissima: giocando sul suo soprannome - "El bandido", appunto - Francisco Vargas, si è presentato ai fotografi bardato sobriamente così.

Ok, va bene: si trattava di colorita pre-tattica, spesso protagonista nella boxe per vanità o per innervosire l'avversario.   
Ma...

Ma quando "El bandido", salito sul ring, ha visto Rod Salka si è capito immediatamente che quell'incontro di pugilato sarebbe stato differente.

Il suo avversario americano, infatti, oltre alla croce cristiana tatuata sulla schiena - e fin qui nulla di particolarmente strano - l'altra sera indossava un paio di pantaloncini sui quali era disegnato un muro.


Un muro di mattoni blu e rossi, come i colori della bandiera Usa.
 
E per chiarire che non si trattava affatto di un casuale disegno soltanto "somigliante" ad un muro, sulla cintura dei suoi boxer campeggiava a grandi caratteri la scritta "America 1st", "Prima l'America"






Esatto: proprio lo slogan che ha portato alla Presidenza Usa Donald Trump (seppur non con la maggioranza dei voti dei cittadini americani, com'è noto), da Trump utilizzato in chiave "anti immigrazione". 
In particolare messicana.

Il pugile americano Rod Salka è infatti un convinto Repubblicano: nell'aprile del 2016 ha persino tentato la strada politica presentandosi alle elezioni per il partito Repubblicano nel 38° distretto della Pennsylvania. 

Eccolo qui, uno dei suoi manifesti elettorali:



Elezioni dalle quali, però, ne è uscito con le ossa rotte.
I suoi 11.130 voti non sono infatti bastati per sconfiggere l'avversario democratico di quel collegio, William Kortz II, che invece ha raccolto 21.271 preferenze, pari al 65,65% dei votanti.

E non è finito in modo diverso nemmeno quest'altro match, questa volta di boxe.
Per tutte le sei riprese, infatti, "Bandido" Vargas non ha mai perso di vista l'avversario: non solo centrando il "bersaglio grosso", il torace - più volte colpito - ma anche il volto e soprattutto la cintura.

Proprio dove si leggeva lo slogan "American 1st"...




Fino al 5° round.

In quei minuti "El bandido" alternava micidiali colpi al volto ad altri alla cintura. 
O meglio, sulle parole tanto care a Donald Trump.  

Dopo due fortissimi colpi alla scritta, negli ultimi istanti dell'incontro è arrivato un "uno-due" al volto: un uppercut, seguito da un fulmineo gancio al viso.

Che hanno fatto vacillare indietro il pugile americano.
Con l'occhio sinistro tumefatto, Rod Salka si è a questo punto appoggiato con la schiena alle corde, mentre un braccio cercava appoggio per non crollare a terra.
Mentre si inginocchiava sul ring suonava il gong, con lui che, sfinito, si rifugiava al proprio angolo.

Ma...

"No mas!", ha urlato il telecronista messicano, nello stesso istante in cui allenatore e secondi del pugile americano allargavano le braccia urlando, appunto, "basta!".

E' finita...

Il "Fantasy Springs Resort Casino" di Indio, California  - affollato da decine di migliaia di persone in stragrande maggioranza americani di origini messicane o messicani - è esploso in un boato di urla, applausi, abbracci.

Con migliaia di persone che poi hanno brindato per tutta la notte alla vittoria de "El Bandido".

Perché, è ovvio, spesso gli incontri sportivi non sono soltanto ciò che semplicemente sembrano.
Soprattutto se, ad un incontro di boxe contro un avversario messicano, un pugile americano - proprio a pochi chilometri dalla linea di confine - si presenta con i pantaloncini sui quali è disegnato il muro di Donald Trump.

Ancora lontano, peraltro, dall'essere costruito.
(Sempre se - detto fra noi - lo sarà mai...).




© dario celli. Tutti i diritti sono riservati 

3 commenti:

  1. Bravo! Hasta la victoria siempre Comandante !!!

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  2. Che buffo, conosco un ragazzo Messicano con lo stesso nome :-)

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