PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

lunedì 27 ottobre 2014

La battaglia dei due Kevin


Kevin li riconosce al volo. 
Non che siano rare le persone che si fanno quei 2701 metri a piedi. In fondo è solo una bella, bellissima, passeggiata: cinque chilometri, se si tiene conto anche del ritorno.
Ma che passeggiata!
Davvero unica.
Certo: fondamentale è fare la passeggiata lungo il marciapiedi del Golden Gate Bridge quando il cielo è sereno e non nelle condizioni qui sopra, da me fotografate. Cosa non facilissima, visto che spesso il ponte è avvolto nella nebbia.
O meglio, da nuvole basse, che dal mare rendono invisibile la baia dove oggi sorge San Francisco.

Ma è sempre stato così: pensate che la baia è così spesso poco visibile dal Pacifico che venne scoperta solo il 4 novembre 1769, quando l'esploratore Gaspar de Portolà ordinò ai suoi uomini di spingersi più avanti, per vedere cosa ci fosse oltre quelle nuvole.


Fu così che l'esploratore spagnolo, insieme ai suoi 63 uomini (e a 200 fra cavalli e muli) scoprì la baia di San Francisco. Come ricorda questo cippo commemorativo posto all'entrata in quella che oggi è la Golden Gate National Ricreation Area.
È lì che venne fondata "La Misión de Nuestro Padre San Francisco de Asís" (lo sapevate che San Francisco è dedicata al nostro San Francesco d'Assisi?). 
Che presto divenne una città, per brevità detta poi semplicemente San Francisco.
Il collegamento di questa penisola con la terraferma a nord era garantito da imbarcazioni e traghetti che facevano spola fra le due sponde. Ma così non si poteva certamente andare avanti, soprattutto quando si andava sviluppando il mercato automobilistico.
Per questo le autorità della città pensarono che 158 anni di andirivieni, in quel modo, fra San Francisco e Sausalito fossero stati più che sufficienti. Era venuto il momento di collegare la città alle terre del nord con un ponte.

Un progetto ardito, visti i problemi che dovevano essere affrontati.

Le autorità locali decisero di affidarlo ad un ingegnere che, di ponti alle spalle, ne aveva oltre 500: Joseph Bermann Strauss. Che non si fece certamente intimorire.
Sapeva che l'obiettivo di realizzare un ponte di quasi due chilometri - la distanza che c'era fra San Francisco e Sausalito - sarebbe stato cosa facile; più complicato, per quel tempo era realizzarlo con un'unica campata centrale di 1282 metri sospesa a 67 metri, altezza che avrebbe garantito agevolmente il traffico di grandi navi anche durante i record dell'alta marea oceanica.

Il progetto era pronto: il vero problema era trovare i finanziatori per quell'opera che appariva (era!) ciclopica.


Fu così che privati e amministrazioni delle contee vicine sborsarono i soldi emettendo obbligazioni rimborsabili (con gli interessi, ovvio...) per un valore di 35 milioni di dollari. 
Con non pochi risparmiatori che diedero come garanzia la loro fattoria, la loro casa, il loro negozio.

Pensate che la costruzione iniziò il 5 gennaio del 1933, e l'ultima delle obbligazioni venne restituita, all'ultimo dei risparmiatori, 38 anni dopo, nel 1971.

Che, oltre ai 35 milioni di dollari investiti, ricevettero complessivamente qualcosa come 39 milioni di dollari di interessi.

Progetto fatto, soldi trovati, prima di iniziare la costruzione si presentò l'inevitabile problema di deciderne il colore.

Furono subito scartati il nero, il grigio e tutta un'altra serie di varianti cromatiche scure che, data la poca visibilità spesso presente in zona, avrebbe messo a serio rischio la navigazione. 
Fu così che uno dei collaboratori dell'ing. Strauss, l'architetto Irving Morrow, propose un rosso tendente all'arancione.

Arancione??
Arancione! 
Ma che idea strampalata!

Forse sarebbe stato un colore insolito per un ponte di inizio '900, ma almeno avrebbe potuto ovviare ai problemi di visibilità provocati dalla nebbia e, appunto, dalle nuvole basse.

Mah!
Arancione... 


Anzi, cari amici, qui dobbiamo essere precisi: il nome esatto del colore del ponte di Frisco è, infatti, "arancio vermiglio", altrimenti detto "arancio internazionale".



Se per caso volete dipingere qualcosa esattamente dello stesso colore del Golden Gate di San Francisco, dovete farvi fare la miscela "CYMK"corrispondente al "Pantone 180": 19,4% di Ciano, 77,9% di Giallo, 79,6% di Magenta e 3,6% di Nero.

Pensate che a tenere il ponte costantemente efficiente ci pensa ogni giorno una squadra di 16 operai e 33 pittori, che lo esplorano e lo controllano conoscendone ogni centimetro.

 


E mentre questi svitano, avvitano, montano, smontano, raschiano, spennellano e oliano, dall'alto osservano le centomila automobili che ogni giorno passano sulle sei corsie (tre per ogni senso di marcia) e le persone che attraversano il ponte su uno dei due marciapiedi aperto ai pedoni dalle 5 alle 21 (da aprile a ottobre; d'inverno, l'orario è dalle 5 alle 18,30). 

L'altro è riservato ai soli ciclisti.


Ma sono loro, i lavoratori del Golden Gate, le vedette di Kevin.


Già perché il San Francisco Golden Gate Bridge è il secondo luogo al mondo scelto da coloro che decidono di togliersi la vita.

E sono più di due persone al mese quelle che decidono di finire tragicamente la loro vita gettandosi 67 metri sotto, nell'oceano che non perdona e che con l'urto li spoglia, li uccide, smembrandone i corpi.

Dal 28 maggio 1937, giorno della sua inaugurazione, le persone che hanno deciso di finire la loro vita gettandosi da lì sono state più di 1600.
Lungo il ponte, accanto al marciapiede, sono presenti annunci esortativi e vagamente ammonitori, come quello che dice "Saltare da questo ponte provoca conseguenze tragiche e fatali"
Così sono presenti numerosi telefoni collegati a operatori di unità psicologiche d'emergenza, specializzati per aiutare le persone in crisi.

Perché è certo che, in questi casi, può servire parlare.
E, appunto, ascoltare.

Il compito di Kevin Briggs, sergente della California Highway Patrol, di sangue norvegese, è principalmente questo.
Parlare e ascoltare.
Dialogare con chi sta per lasciarsi andare fra le braccia della morte.

Parlare e ascoltare.
Dal 1994 - anno in cui è entrato in servizio sul Golden Gate - parlando (pensate: semplicemente, parlando!) è riuscito a far desistere più di 200 persone
Cioè, ragazzi... questo signore qui sopra ha letteralmente salvato dalla morte più di 200 esseri umani.

"Già, perché - racconta il sergente Briggs - le persone che saltano la ringhiera del ponte, non desiderano necessariamente morire. Se loro, quando riesco ad arrivare dopo l'allarme che abbiamo ricevuto, sono ancora lì, vuol dire che probabilmente vogliono essere salvati.


E allora io, con molta cautela e senza fare prediche, intanto mi metto ad ascoltarli, cercando di capire cosa li ha portati lì, a quel punto. 

E se a quel punto parlano e arrivano a piangere, allora è buon segno: vuol dire che mi stanno ascoltando e che riesco in qualche modo a farli pensare, a farli riflettere. 

E quando mi dicono di non avere prospettive, di non sapere cosa fare l'indomani, io allora dico loro 'Ok, dai: facciamo un piano insieme, io e te. Vediamo cosa potresti fare domani...'".
Perché ci deve essere un domani anche per chi è disperato, senza speranza.
Per queste sue capacità, i suoi colleghi lo hanno soprannominato "il guardiano della Porta d'Oro"

Lui, 
all'inizio agiva d'istinto; poi però ha capito che il buon esito dell'intervento è favorito non tanto dalle sue capacità persuasive, quanto, appunto, da quelle di "ascolto":

"Sì, ascoltare. 
Ascoltare per capire. 
Il mio compito, in quei momenti, non è né discutere, né cercar di dissuadere la persona, o magari farla sentire in colpa facendola pensare a chi rimarrà solo, senza di lei. 
E non è nemmeno tanto utile dir loro che capisco come si sentono...".

Il sergente Kevin Briggs guarda il Golden Gate - il suo luogo di lavoro - e lo definisce "una metafora", "una metafora di ferro".

"Questo ponte, infatti, non collega solo Marin Headlands di Sausalito a San Francisco; ma unisce, collega, anche le persone. Questo è un ponte, e un ponte unisce due luoghi.

Ed è una metafora della vita.

Quando queste persone restano appese dall'altra parte, in bilico fra la vita e la morte, in realtà è come se cercassero un ponte per tornare indietro. 
E ognuno di noi dovrebbe aiutarli, fare questo sforzo.
Il suicidio si può prevenire se c'è aiuto e speranza".

Quello che tormenta il sergente Kevin Briggs è però non essere riuscito a salvare due persone.

Niente, con loro non c'è stato nulla da fare: quelle due volte, quando lui arrivò dopo l'allarme lanciato da un automobilista, ognuno dei due si limitò a fissarlo con occhi ormai lontani, per poi lasciarsi andare un istante dopo nelle acque buie, gelide, e dure come la pietra, dell'oceano Pacifico.

E allora lui si concentra a pensare alle duecento e più persone che invece è riuscito a portare da questa parte.

Dalla parte nostra.

Dal lato della vita.
Come quell'11 marzo 2005, quando improvvisamente alla radio sentì uno dei suoi ragazzi dire quattro numeri in codice:
"34-20".
"10-31".

"34-20": "Goden Gate lato est". 
"10-31": "Pedone fuori dalla ringhiera".

Un secondo dopo Kevin Briggs ha dato tutto il gas possibile alla sua moto, trovandosi così in altri pochi secondi di fronte a Kevin Berthia, un ragazzo di 22 anni.

Che si chiamava come lui.
Che aveva già superato la ringhiera.
Che era già dall'altra parte.

E allora lui intanto lo saluta, e inizia a parlare.

A parlare ma soprattutto, appunto, ad ascoltare.
"In fondo è come essere a Las Vegas: più a lungo riesci a tenere il tavolo, più hai probabilità di uscire con una buona vincita", dice sorridendo.

La battaglia dei due Kevin è durata - così si legge nei precisissimi verbali di polizia - 92 lunghissimi minuti.


92 minuti durante i quali il giovane Kevin Berthia - afroamericano, padre di famiglia, ex impiegato delle poste imprigionato da una forte depressione - ha parlato di cosa lo aveva portato lì, dall'altra parte del muro.

Raccontò - con la testa china, senza mai guardare la persona che aveva di fronte - di avere avuto una bambina nata prematura

di dovere all'ospedale che l'ha salvata 250mila dollari, 

di non sentire da settimane la propria fidanzata, 

di aver lasciato il suo lavoro alle poste da 14$ l'ora per iscriversi di nuovo a scuola e riuscire così a trovarne uno migliore, pagato meglio, 

ma di non essere però riuscito ad avere la borsa di studio che gli avrebbe permesso di frequentarla, 

e intanto c'era l'affitto da pagare, 
e le rate della macchina da pagare, 
e l'abbonamento del telefonino da pagare e che infatti gli era stato staccato, 

e di aver cercato la sua ragazza da una cabina pochi minuti prima, ma lei non aveva risposto
Pure lei, cazzo!

E Kevin raccontò a Kevin che subito dopo aver attaccato la cornetta del telefono pubblico, alzò gli occhi.

E allora lo vide. 
Vide il profilo del ponte.
Quel ponte arancio vermiglio che lo chiamava.

Lo chiamava...

92 lunghissimi minuti, con Kevin (Berthia) che aveva il piede sinistro spaventosamente più "dall'altra parte" che dalla parte nostra, "dalla parte della vita".

92 lunghissimi minuti duranti i quali il sergente Kevin (Briggs) lo ascoltava e ogni tanto gli sussurrava, chissà cosa. 


92 minuti durante i quali l'altro Kevin (che in fondo era l'altra parte di lui, l'altra parte di noi...) con la testa china, fra i singhiozzi, si sfogava, imprecando contro una vita che non sembrava più dargli ascolto
che non sembrava più dargli spazio
che non sembrava più dargli altre scelte.

Se non quella di scivolare giù, 
quella di "lasciarsi andare come foglia al vento. 
Giù, leggero, nel suo abbraccio forte... 
Ma è così cattiva, poi, la morte?"

In quel momento i due Kevin erano in fondo la stessa persona:

"Perché in tutti noi c'è sempre un'altra parte così, una parte di noi che ogni tanto è come se sentisse di avere il piede sinistro per metà già 'dall'altra parte'...", racconta il sergente Briggs.

Quello che accadde alla fine di quei 92 terribili minuti è immortalato nella fotografia che vedrete fra sette righe.
Perché dopo 92 minuti il giovane Kevin Berthia si arrese.
Alla vita. 
Lasciandosi aiutare.

Perché da certe situazioni si esce solo facendosi aiutare.

E nel suo caso, ciò avvenne anche nel senso fisico del termine. 
Il momento in cui il 22enne Kevin Berthia si arrende e accetta di farsi aiutare è stato questo:

E' il momento in cui il sergente Kevin Briggs, aiutato da un collega, lo porta - anzi lo riporta - di qua.
Fra noi.

"E' stato lì che mi sono accorto di aver parlato con un poliziotto", raccontò poi il giovane Kevin Berthia.


Il cui percorso di rinascita è stato lungo.
E faticoso.
Dannatamente faticoso.

Com'è facile immaginare, per lui, le settimane, i mesi, che seguirono non furono facili.

Iniziò un lungo periodo di dura, financo dolorosa, psicoterapia, dove fissò nuovi obiettivi per se stesso, per andare avanti con la sua vita.
Con la vita.

La sua ragazza (che quella volta non aveva risposto al telefono, e che non lo aveva fatto perché - banalmente - non aveva sentito, c'era traffico e un gran casino tutto intorno a lei, in quel momento, cazzo!...) era di nuovo lì, al suo fianco.

Ad aprile nacque un'altra figlia.

A maggio si sposarono.

Subito dopo trovò un lavoro a tempo pieno con una nuova assicurazione, che avrebbe coperto le spese ospedaliere

Poi comprò la casa nella quale andarono ad abitare tutti insieme, lui e le sue tre donne.

Certo, ogni tanto quella vocina maligna spunta fuori e si fa sentire, spingendolo a guardare verso il Golden Gate: ma lui ha imparato a sorridere, a non ascoltarla, a metterla a tacere quella dannata vocina del cazzo...


Ha imparato ad affrontare, a lottare, con la depressione.

Otto anni dopo, il 12 maggio 2013, un Kevin Berthia rinato e sorridente, un gran pezzo d'uomo davvero, decise che era venuto il momento di incontrare Kevin Briggsil sergente della California Highway Patrol, che letteralmente gli diede una mano (anzi, due...) per strapparlo alla morte. 

Un incontro che non poteva che avvenire là, di fronte a quel ponte arancio vermiglio.




Sui piloni del ponte, accanto al marciapiede, decine di cartelli pubblicizzano il numero di telefono gratuito di una hot line.
"1-800-273-8T2A5L5K".



8255. 
Numeri che nella tastiera del telefono corrispondono alla parola "Talk".
"Talk" come parlare, appunto.

Solo nel 2016, 39 persone si sono uccise buttandosi dal ponte, mentre Kevin e i suoi colleghi grazie al loro lavoro sono però riuscite a salvarne - portandole da questa parte, dalla parte della vita - ben 184.

Il 27 giugno del 2014, il Consiglio di Amministrazione del Golden Gate Bridge ha deliberato la realizzazione di una rete di protezione, sei metri sotto il livello marciapiede, lungo tutti e due i lati dei 2 chilometri e 71 metri del ponte.



Costo: 204 milioni di dollari (quasi 175 milioni di €uro!).
I tempi sono stati finora rispettati e i lavori di installazione termineranno nel 2021.


Dopo quattro anni rileggo questa storia e mi viene voglia di cercare il nostro amico Kevin Berthia. 
E così vengo a sapere che poi si è iscritto all'Università di San Francisco - dove si è laureato in psicologia - e che oggi vive a Sacramento. 

Occupandosi proprio di portare "di qua" le persone che - come lui - volevano farsi abbracciare dalla morte. 
Restituendo agli altri, in fondo, ciò che lui aveva ricevuto.
Ciò che lo aveva salvato.



© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

sabato 18 ottobre 2014

I dubbi di Angela...


Questa volta la nuova storia di Aria Fritta la dovete scrivere voi con le vostre risposte, cari amici americani che vivete negli Usa.

L'idea, lo spunto, me l'ha fornito Angela, una lettrice che alla lettura del pezzo sulla Lotteria per la Green Card è stata - racconta - sommersa da dubbi.
Comprensibili, legittimi.

"Leggo l'articolo di Dario e mi commuovo sognando una vita negli States!! Io voglio patecipare, e far presentare a domanda anche a mio marito... 
Stiamo cercando di fare una foto decente alla bimba di due anni che non sta ferma un attimo!!!
Ho letto tutte le istruzioni, tutte le domande frequenti e mi sorge un dubbio...
 
Ipotizziamo che io riesca a superare tutti i passaggi possibili e che arrivi il momento di partire...
Non ho nessuno in America, ho una bimba al seguito e mio marito un lavoro stabile qui... 
Dove vado? 
Ok scelgo una città, ma quando poi arrivo mi sarà facile trovare una sistemazione ed un lavoro? 
Non ho un inglese fluente, può essere un problema? 
E mia figlia? 
Arrivata in America posso iscriverla ad un asilo?
E io posso cercare lavoro?? 
Il desiderio di andare a vivere negli Stati Uniti è molto forte... ma ho tanti dubbi...".

Cari amici americani, ora tocca a voi.
Il mio invito va sia agli amici vincitori di Green Card sia a coloro che si sono trasferiti negli States per lavoro e hanno figli, evidentemente.

C'è bisogno della vostra testimonianza: date voi una risposta all'amica Angela!